Le origini di Halloween: tra Samhain, Ognissanti e tradizioni italiane dimenticate

Le origini di Halloween

C’è chi la considera una festa “importata”, chi la vive come una serata di travestimenti, chi la rifiuta perché pensa sia estranea alla nostra cultura. Eppure, se si scava appena sotto la superficie commerciale, Halloween racconta una storia lunga e stratificata, dove si incontrano calendario agricolo, riti di soglia, memoria dei defunti e usanze domestiche che, in Italia, hanno una storia secolare. Non è una contraddizione: la stessa data può portare significati diversi a seconda delle epoche. Per capire come siamo arrivati allo scaffale delle zucche intagliate, bisogna tornare indietro, quando l’ultima notte di ottobre segnava la fine di un anno e l’inizio di un altro, e quando una piccola luce, accesa davanti a casa, serviva a orientarsi nel buio e a ricordare chi non c’era più.

Le origini di Halloween: Samhain e calendario agricolo

Samhain
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Prima di essere una data “da paura”, Halloween e il 31 ottobre era una soglia dell’anno. Samhain, per i Celti, segnava la fine della stagione luminosa e l’inizio dell’inverno: il bestiame rientrava dalle alpi, si facevano conti e provviste, si rinnovavano patti comunitari. Era il capodanno agricolo, quando si spegnevano i focolari domestici per attingere un “fuoco nuovo” comune, simbolo di protezione. In questa notte-limite, secondo l’immaginario, il velo tra vivi e defunti si assottigliava e le comunità cercavano di orientare energie e presenze con gesti apotropaici: torce, braci, cibo condiviso.

Nel medioevo cristiano, la Chiesa recepì e ricalibrò molte soglie stagionali, ma il nucleo antropologico rimase riconoscibile. L’autunno è tempo di chiusure, di memoria dei morti, di bilanci prima del freddo. Ecco perché tante culture diverse, non solo celtiche, hanno riti tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Si tratta di un tempo “di confine”, in cui l’ordine domestico si rinnova e si ricorda chi non c’è più. Nella geografia europea, il ceppo celtico ha lasciato tracce forti in Irlanda, Scozia e Gallia. Ma gli ingredienti simbolici (fuoco, luce, pane, questua) sono condivisi anche altrove, Italia compresa.

Tra le immagini più persistenti c’è la lanterna che buca il buio. Prima delle candele nelle zucche, c’erano rape scavate e bracieri comunitari: il principio è lo stesso, una piccola luce per farsi strada nella notte lunga. Le maschere, lontane dall’odierno “travestimento” commerciale, avevano senso rituale: confondere gli spiriti, ribaltare i ruoli per un giorno, mettere in scena un ordine sociale che si ricomponeva all’alba.

La sovrapposizione cristiana

festa di Tutti i Santi (Ognissanti)
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Quando il Cristianesimo si affacciò su questi orizzonti e organizzò il proprio calendario, non azzerò i ritmi dell’anno. Nel calendario romano, la festa di Tutti i Santi (Ognissanti) venne fissata all’1 novembre. La Commemorazione dei defunti le fa seguito il 2 novembre. La sovrapposizione con Samhain non è una copia, ma una strategia di “inculturazione”: collocare un contenuto teologico (la comunione dei santi, la preghiera per i defunti) nel tempo della memoria comunitaria. Così la notte tra il 31 ottobre e l’1 novembre resta una soglia, ma cambia linguaggio. Dalla gestione del “mondo di mezzo” si passa alla relazione liturgica con i morti, fatta di visite ai cimiteri, suffragi, luci accese sui sepolcri.

In Italia, per secoli, questa doppia scansione ha modellato usi domestici e pubblici. Le campane suonavano a morto, i fedeli partecipavano alle messe dell’alba, i bambini imparavano a dedicare una preghiera “per le anime sante”. Al tempo stesso, nelle case si preparavano dolci simbolici e si apparecchiava talvolta un posto in più, gesto di ospitalità per chi è “passato oltre”. Le confraternite curavano ceri, lumini e processioni. I parroci regolavano l’accesso ai cimiteri. I forni sfornavano pani dei morti con ricette diverse di valle in valle.

La sovrapposizione cristiana non cancellò i segni antichi, li ridefinì. Molte questue rimasero attive, ma con un vocabolario nuovo. I bambini che vanno di porta in porta non “ingannano” gli spiriti, chiedono pani o frutta “per le anime”; le luci non confondono più i morti, li accompagnano. Se oggi Halloween sembra “estraneo”, è spesso perché si dimentica questo strato di lunga durata, in cui sacro e domestico convivono senza polemica.

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Le usanze italiane regione per regione

tradizioni italiane halloween
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L’Italia, da questo punto di vista, è un laboratorio di usanze che vale la pena rimettere in fila, perché spiegano perché Halloween non sia affatto estraneo al nostro modo di “attraversare” l’autunno. In Liguria, entroterra e Riviera hanno pratiche di lumini e zucche scavate. La logica è semplice e antica: segnare la soglia domestica con piccole luci, accompagnare la notte del passaggio. In Lombardia e in Piemonte, il “pan dei morti” e le “ossa dei morti” raccontano di spezie, frutta secca e cacao, ingredienti che accompagnavano le ricorrenze autunnali. A Milano, il pan dei morti combina biscotti sbriciolati, mandorle, uvetta, cacao e vino. In tante città piemontesi le “ossa” sono mandorlate dure, da intingere. Nel Veneto e nel Friuli, la memoria passa anche dalle confezioni di pane e dai piccoli ex voto lasciati sulle tombe, con lumini che punteggiano i viali cimiteriali.

In Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche, le “fave dei morti” sono piccoli dolci a base di mandorle o nocciole, con varianti locali. A Perugia e dintorni prevale la mandorla. A Ferrara la nocciola. In Toscana la ricetta dialoga con l’altra stagione “forte”, quella dei santi e del vino novello. I mercati rionali dedicano banchi interi a questi biscotti, spesso venduti in sacchetti che portano ancora nomi antichi. Nel Lazio, oltre alle fave dei morti, le confraternite mantengono viva la ritualità dei cimiteri, con lumini che disegnano geometrie sul marmo. In Abruzzo e Molise persistono questue con nomi diversi, legate alle “anime sante” che “fanno il giro” nella notte: i bambini ricevono frutta, dolci semplici, piccoli pani, senza maschere vistose, in un clima più domestico che spettacolare.

Al sud

In Puglia, Orsara (Foggia) è la capitale delle “cocce priatorje”, le zucche scavate e accese davanti alle case nella notte tra l’1 e il 2 novembre, durante la festa dei “Fucacoste”. Bracieri e cibo condiviso mettono insieme antico e cristiano: la luce per i defunti, la tavola per i vivi. In Basilicata e Calabria ricorrono pani dedicati e dolci di mandorle.

In Sicilia, la ricorrenza è ancora più articolata: i bambini ricevono doni “mandati dai morti”, arrivano i “pupi di zuccaro”, compaiono le “ossa di morto”, e la frutta di Martorana illumina vetrine e tavole. In Sardegna, le questue di “Is animeddas” o “Su mortu mortu” raccontano la stessa logica mediterranea: il passaggio dei piccoli “ambasciatori” delle anime tra una casa e l’altra, con la comunità che risponde con dolci e frutta secca.

Nel segno della continuità

Se si guarda questi gesti con un minimo di pazienza, la continuità salta agli occhi. Il filo rosso di tutte queste usanze è duplice: luce e pane. La luce, che fa segno nella notte e “accompagna” chi si ricorda. Il pane, che allunga sul tavolo la continuità della famiglia e della comunità, oltre i confini della biografia individuale. Non c’è macabro, ma realismo contadino: la vita si accorcia in inverno, ci si stringe, si ricorda chi ha già attraversato il buio. Si mettono ceri per indicare il cammino ai defunti, si impastano dolci e pani per sottolineare la continuità della tavola familiare oltre la soglia della morte.

Dalla diaspora al pop contemporaneo

halloween oggi
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Tra fine Ottocento e primo Novecento, milioni di italiani emigrarono nelle Americhe e nell’Europa del Nord, portando con sé ricorrenze, pani e parole. Nelle città statunitensi e canadesi, queste comunità si incontrarono con la tradizione anglosassone di Halloween, ormai modellata dai media. Fu un doppio scambio: da un lato, l’“All Hallows’ Eve” trovò nuove energie nella cultura delle parate, dei costumi e del trick-or-treating. Dall’altro, le famiglie italo-americane conservarono Ognissanti e la Commemorazione del 2 novembre, cucinando dolci dei morti e accendendo lumini.

Nel Dopoguerra e soprattutto dagli anni Ottanta, cinema, televisione e retail reimportarono in Europa l’immaginario di Halloween, svincolandolo in parte dai suoi contesti rituali. L’Italia reagì in modo diseguale. Città e centri commerciali abbracciarono la parte più “leggera” (costumi, feste), mentre paesi e quartieri storici continuarono a coltivare Ognissanti e il 2 novembre come giorni di chiesa e di cimitero. Oggi le due dimensioni convivono. La sera del 31 ottobre si partecipa a feste in maschera, l’indomani si portano fiori e lumini ai propri cari. È una doppia appartenenza che non ha bisogno di polemiche, ma di consapevolezza.

Sul piano linguistico, anche “dolcetto o scherzetto” ha parenti stretti nelle questue tradizionali. In Sardegna, Puglia, Molise e in altre aree dell’Appennino i bambini hanno sempre bussato per “le anime”, ricevendo pani e frutta secca. Il costume contemporaneo semplifica e commercializza; le questue storiche ricucivano comunità. Sapere che esistono radici italiane al gesto del “bussare” rende Halloween meno alieno e più leggibile.

Halloween come contenitore

Alla fine, quello che chiamiamo Halloween è diventato un contenitore. Ci sta dentro Samhain, con i suoi fuochi e il suo buio che ricomincia. Ci sta dentro la tradizione cristiana di Ognissanti e della Commemorazione, con le chiese piene e i viali dei camposanti che brillano. Ci stanno dentro i pani delle nostre regioni, le questue che si fanno ancora, i pupi di zucchero delle vetrine siciliane e le cocce accese davanti alle case pugliesi. Ci sta dentro, volendo, anche una festa in maschera ben fatta, che non calpesti altri riti. Accettare questa pluralità non significa “cedere” a una moda. Significa riconoscere che, come tutte le soglie, anche questa si legge meglio se la si attraversa con calma, sapendo da dove si viene e con chi si cammina.

Ricetta “fave dei morti” (versione classica)

Ricetta fave dei morti
Ricetta fave dei morti

Per chi ama riportare a casa sapori insieme a storie, la cucina offre la chiave più semplice. Le “fave dei morti”, in tutte le loro varianti, sono una ricetta che attraversa tutta l’Italia. Mandorle, zucchero, albume, scorza di limone, un tocco di anice o vin santo: si impasta, si formano piccole ellissi, si cuoce finché dorano. La crosticina asciutta, il cuore appena cedevole. Ogni città ha un’aggiunta, una spezia, un modo di modellarle con le dita.

Dosi (per 30–36 biscotti)

  • Mandorle pelate: 250 g
  • Zucchero semolato: 200 g
  • Albumi: 2 medi (circa 70–75 g totali)
  • Scorza di limone non trattato: 1 (solo la parte gialla, finissima)
  • Liquore all’anice o Vinsanto: 1 cucchiaio (10–12 g) – facoltativo ma consigliato
  • Sale fino: 1 pizzico
  • Zucchero a velo (per finitura): q.b.
  • Variante “profumo”: puoi sostituire metà scorza di limone con scorza d’arancia.

Procedimento passo passo

Tosta leggermente le mandorle (facoltativo ma consigliato). Forno a 150 °C statico. Disponi le mandorle su teglia e tosta 6–8 minuti, senza farle scurire. Lasciale raffreddare completamente: devono risultare fredde prima di tritarle, così non rilasciano olio. Metti nel mixer le mandorle fredde con 100 g di zucchero presi dal totale. Aziona a scatti fino a ottenere una farina fine. Fermati appena prima che inizi a “impastarsi”: se scaldi troppo, le mandorle rilasciano olio.

Prepara la base aromatica. In una ciotola unisci i restanti 100 g di zucchero, la farina di mandorle ottenuta, la scorza di limone finemente grattugiata e un pizzico di sale. Mescola bene. Aggiungi il liquore all’anice o Vinsanto e amalgama. Versa gli albumi leggermente sbattuti con forchetta: aggiungili un po’ alla volta, mescolando con spatola fino a ottenere un impasto denso e modellabile, umido ma non appiccicoso. Se l’impasto risultasse troppo sodo, aggiungi 1–2 cucchiaini di albume. Se troppo morbido, aggiungi 1–2 cucchiaini di farina di mandorle (ottienila tritando altre mandorle oppure usando mandorle già ridotte in farina).

Copri la ciotola e lascia riposare 30 minuti in frigorifero: l’impasto si compatta e si lavora meglio. Forma le “fave”. Fodera una teglia con carta da forno. Con mani leggermente inumidite o appena unte, preleva piccole porzioni (circa 15–18 g) e forma ovali o ellissi alte circa 1 cm e lunghe 3–4 cm. Disponile distanziate. Spolvera leggermente con zucchero a velo per la finitura.

Cottura e conservazione

Forno statico a 165–170 °C. Inforna a metà altezza per 12–16 minuti, finché risultano appena dorate ai bordi e ancora chiare in superficie. Devono asciugare fuori ma restare morbide dentro: non prolungare troppo la cottura. Sforna e lascia raffreddare in teglia 5 minuti, poi trasferisci su gratella fino a completo raffreddamento. Come molti biscotti mandorlati, danno il meglio dopo 12–24 ore: aromi e consistenza si armonizzano.

Conservazione. In scatola di latta o contenitore ermetico, al riparo da luce e calore: 7–10 giorni. Si possono congelare (già cotti e raffreddati) per 1–2 mesi; scongela a temperatura ambiente.

Con questo articolo abbiamo inaugurato lo Speciale Halloween: ogni settimana fino al 31 dicembre storie che vale la pena ricordare, eventi e posti da visitare per la serata più spaventosa dell’anno.

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